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Il KC Vittoria festeggia San Valentino con una conferenza sul tema “L’amore nella letteratura Italiana dell’800 e del ‘900”  

Pubblicato da: Rosalba Fiduccia | KC Vittoria |  Letture: 1899

Il KC Vittoria festeggia San Valentino con una conferenza sul tema “L’amore nella letteratura Italiana dell’800 e del ‘900”
IL SAN VALENTINO DEL KIWANIS CLUB DI VITTORIA.
Martedì 14 Febbraio il Kiwanis Club di Vittoria ha festeggiato la giornata di San Valentino dedicando alla ricorrenza una elegante serata con conferenza del Prof. Lino Di Rosa, docente di Italiano e vicepreside del Liceo Scientifico di Vittoria, sul tema “L’amore nella letteratura Italiana dell’800 e del ‘900”. Presentando il relatore, il Presidente del Club, Prof. Silvio Palacino, ha sottolineato la professionalità del Prof. Di Rosa e la lunga militanza nell’ambito della cultura vittoriese. Ha poi annunciato che alla fine della serata ci sarebbe stata una sorpresa piacevole per le signore. In sala infatti la moglie di un nostro socio, Dora Milletarì, docente di matematica, ha presentato una ricca collezione di gioielli da lei realizzati per hobby e confezionati con pietre preziose e colorate, che lei stessa sceglie e compra durante i suoi viaggi in paesi lontani come l’India, il Bangladesh, l’America Latina, e che poi lavora e assembla opportunamente realizzando collane, orecchini, braccialetti, anelli ed altro, di elegante fattura. Si tratta di oggetti di bigiotteria, ma di un certo livello artistico e di sicuro gusto, delizie per gli occhi delle eleganti signore, che hanno partecipato al sorteggio di due pezzi che la Milletarì ha voluto donare al Club.
Il Prof. Lino Di Rosa ha trattato l’idea di amore e le teorie che su di esso hanno costruito autori come Foscolo, Manzoni, Leopardi, D’Annunzio, Verga soffermandosi a citare molto rapidamente anche Moravia, Pavese, Montale, Luzi. Dei primi ha riferito i sentimenti d’amore attraverso le figure femminili delle loro opere nel periodo del neoclassicismo e del romanticismo fino ad arrivare al decadentismo ed al verismo. Passaggi d’epoca che hanno determinato tanti mutamenti letterari sia nel campo linguistico che stilistico.
Foscolo fu influenzato dalla passata grandezza dell’Italia e dalle passioni dell’epoca neoclassica che gli generarono malinconie e turbamenti che trasferì nella sfera ideale nelle sue opere, e fu un’anima scossa dalle inquietudini romantiche del sentire moderno. Con le Ultime lettere di Jacopo Ortis Foscolo anticipò la disperazione romantica. Il romanzo che il poeta scrisse nel 1799 e nella versione definitiva nel 1802, fu il romanzo della delusione, di un uomo le cui vicende personali correvano di pari passo con le vicende della sua patria, la sua Venezia ceduta nel 1797 da Napoleone agli Austriaci. Il protagonista disperato si ritira sui Colli Euganei, conosce Teresa e se ne innamora, ma essa è fidanzata. Jacopo viene travolto oltre che dalla delusione politica anche dalla delusione amorosa, e per sfuggire ai suoi terribili turbamenti si suicida. Ma Il Foscolo non è l’Ortis e pur guardando al passato cerca avidamente una speranza nel futuro, e si rifugia nell’amore. Foscolo ebbe molte amanti, e l’amore lo avvertì come dei palpiti, delle passioni che lo facevano ribollire e che gli conferivano la certezza della fine. L’amore era un tumulto che finiva e ricominciava. E’ quanto metterà in evidenza nei Sepolcri, che hanno una fisionomia epica, in cui l’ardore patriottico, come l’amore sono avvolti nei vapori malinconici del presente.
Parlando del Manzoni, che Di Rosa definisce un romantico illuminista, dice che in lui confluiscono la limpidezza logica del settecento illuministico francese e la profondità morale dell’età di Pascal. Manzoni è stato narratore e storico, e nei suoi Promessi Sposi, dove descrive l’odissea di due contadini Renzo e Lucia per arrivare al matrimonio, spinto dal suo moralismo cattolico crea con lucidità una serie di personaggi dalla più disparata vitalità, comiche, violente, dolci, pensose, e li fa attraversare dalle sue esperienze personali di psicologo ed acuto osservatore dei fatti sociali, oltre che dalle riflessioni su se stesso e sul senso religioso di quel ristretto numero di persone di cui era attorniato, rimanendo al di sopra delle contingenze personali e collettive. Per Renzo e Lucia l’amore diventa invece il coronamento di un epilogo, ed il Manzoni ci presenta alla fine un Renzo, placato, dopo tanto camminare, in pantofole, ed una Lucia trionfante, non più mortificata e con la testa bassa, ma persino ciarliera, anche se ancora bloccata nel suo patologico esprimersi tra monosillabi e singhiozzi. L’amore che aveva portato i due ad intraprendere delle sfide terribili, sembra non esserci più, annegato e dissolto nel tran tran quotidiano. C’è un altro amore descritto nei Promessi Sposi ed è un amore peccaminoso che dà rimorsi, quello della relazione di Gertrude ed Egidio. Gertrude (la monaca di Monza), appartenente alla più alta nobiltà, sin dalla culla fu vittima predestinata di un padre padrone, egoista e crudele, che destinò la figlia alla monacazione. E da monaca ella diventa strumento del male “responsabile del capriccio, del disordine e del peccato”. Per descrivere la relazione di Gertrude con Egidio, Manzoni indugia sul mondo della seduzione e gli intrighi di monastero, sull’uccisione della conversa e persino sul pentimento della signora e delle sue complici e sull’uccisione efferata di Egidio, colpito dalla giustizia pubblica. Dalla vita sfrenata Gertrude passa, illuminata dallo spirito, al travaglio della ricerca del perdono divino sottoponendosi ad una serie di personali rinunce e flagellazioni morali, la via più adatta alla sua coscienza di convertita. L’amore diventa il riposo nella pace di Dio.
Nel Leopardi, uomo infelice e morto all’età di 39 anni, si assommano i motivi pessimistici dell’età post-napoleonica. Quel periodo portatore di sentimenti di depressione, di pessimismo e di disperazione, si radica nella situazione personale di Leopardi ragazzo, accentuato dalla natura ostile che lo costringe a convivere con delle deformazioni fisiche (gobba) ed una gracilità di fondo. Il giovane, nato in una famiglia aristocratica, finisce ben presto per chiudersi in uno sconforto, che gli rendono la vita infelice; obbligato dal padre a non mischiarsi con il volgo di una Recanati contadina, è costretto a vivere una vita solitaria e lontana dalla realtà che gli rendono la vita angustiata e depressa. Leopardi trova nella poesia e nello scrivere il solo antidoto alla sua infelice vita, ma anch’essa è intensamente attraversata dalla malinconia letteraria tipica del romanticismo europeo. Le sue opere sono però il travaglio di un genio che raggiunge le vette del sublime. Incapace di trovare contatti umani, riversa nei libri della fornitissima biblioteca paterna nel suo palazzo residenziale tutte le speranze di trovare risposte alle sue aspirazioni. Ma finisce con il convincersi che la ragione è la fonte dell’infelicità dell’uomo, e che la noia è il senso della sua insoddisfazione. Per questo desiderò sempre una forma di vita attiva, affaccendata, abbassata al livello di quella gente comune che il padre disprezzava. Da ciò quel canto A Silvia, tra le cose più belle della letteratura italiana. Oppresso dalla solitudine desiderava la morte come rimedio unico dei suoi mali, ma, contraddittoriamente, sentiva che con essa avrebbe perso quanto c’era di alto e di bello nella sua vita, ovvero la poesia. Nei Canti e nelle Operette morali si concretizza il pensiero del Leopardi. Vi si ritrovano le dimostrazioni di tutte le sue convinzioni pessimistiche: il senso di insoddisfazione, la solitudine, l’amore sole immaginato e mai concretizzato, il bisogno di gente attorno, il bisogno di partecipare ai sentimenti che accomunano la gente, la necessità di vivere esperienze vive ed anche momenti di arguta ironia. Nella prosa fa più spesso il tentativo di descrivere in modo ironico la vita, ma è un’ironia gelida in cui si sente immediatamente l’angustia del suo vivere.
Un cenno brevissimo, quasi a tempo scaduto, l’oratore ha fatto a Verga ed a D’annunzio. Del primo ha accennato al verismo ed alla Lupa, la novella dell’amore proletario, che racconta “di una donna che non era sazia giammai di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell'andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti.(…)”. Del secondo ha messo in evidenza la sua visione vitalistica e sensuale della realtà, il suo dissipato stile di vita fatto di debiti e frequentazioni mondane, di amanti, di capacità di assimilare e rielaborare in forme del tutto personali le suggestioni e gli stimoli più svariati, provenienti sia dalla storia e dalla mitologia sia dalle correnti letterarie e filosofiche contemporanee.
Alla fine della conferenza la Sig.ra Margherita Catania consorte del socio Pippo Traina ha letto delle ironiche poesie in dialetto siciliano attinenti l’argomento trattato.
L’addetto stampa del Kiwanis Club di Vittoria: Salvatore Nicastro.








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